LA CAPPELLA DI MADONNA DELLA NEVE
Questa cappella campestre risulta citata per la prima volta in un documento del 1381. Nel 1871 il Priore don Paschetta dice che già “nell’anno 1630 il 5 di agosto era considerato e festeggiato come giorno di festa di precetto; nel Filatoio e Filanda non si lavora come pure si astengono dal lavoro tutti li abitanti di questo Comune”: una consuetudine e una tradizione ininterrotte di circa quattrocento anni che fanno della “Madonna della Neve”la titolare della festa patronale della parrocchia, il polo aggregante dei cittadini attorno alle funzioni religiose e alle manifestazioni tipiche delle sagre, in un clima di festa familiare.
A quell’epoca la cappella campestre era dedicata a “Santa Maria” in ricordo della nevicata miracolosa avvenuta a Roma il 5 agosto 352 che indicò il luogo e la forma di una basilica da costruirsi sull’Esquilino in onore di Maria SS.ma. Costruita l’anno successivo, essa è quella celebre di Santa Maria Maggiore”, una delle quattro basiliche patriarcali di Roma, così chiamata per ricordare il grado che essa occupa tra le molte altre chiese dedicate alla Madre di Dio, primo santuario mariano dell’Occidente.
Il 1630 è l’anno della peste (la peste bubbonica colpì Villanovetta a più riprese, soprattutto nel 1630 quando provocò ben 300 morti) e allora, quando qualcuno presentava i sintomi del morbo i familiari lo trasferivano presso questa cappella e i morti venivano seppelliti ai piedi degli alberi circostanti. Nel secolo successivo, settembre del 1712, sotto gli stessi alberi trovarono sepoltura parecchi soldati francesi che, scesi dalla Valle Varaita, tentavano di raggiungere Saluzzo ma, furono fermati dai soldati austro-sardi in uno di quegli scontri che vanno sotto il nome di “battaglia di Papò”.
Nel 1766 il Priore don Carlo Giuseppe Marini, soddisfatto del procedere dei lavori per la costruzione della nuova chiesa parrocchiale, modificò la dedicazione della cappella da “Santa Maria” a “Madonna della Neve”; questo anche per rispondere all’iniziativa del papa San Pio V che nel 1568 (duecento anni prima) aveva inserito nel Calendario Liturgico la dedicazione di Santa Maria “ad Nives”.
Pare che quella sia stata un’antica zona cimiteriale se nel 1901, scavando per abbattere noci secolari, si rinvennero scheletri rivestiti di corazza, visiera ed elmo. Nell’Ottocento invece nel corso delle Rogazioni, che si svolgono ancora oggi il 25 aprile, alla cappella convenivano le donne allevatrici di bachi con al collo un sacchetto contenente il seme-bachi per ricevere la benedizione che avrebbe protetto i delicati bruchi dalle malattie e facilitato la produzione di abbondanti e preziosi fili di seta.
Scriveva nel 1898 il Priore don Garnero che “alla cappella della Madonna della Neve si convoca la gente tuonando una conchiglia a modo di corno”; il campanile, infatti, fu costruito solo nel 1930 e la campana collocata nel 1934. La tradizione di suonare le conchiglie durante la Settimana Santa era diffusa in tutto l’Ottocento specie nel Canavese ed è documentata ancora a Foglizzo a metà del secolo scorso. L’uso di tuonare la conchiglia può essere ricondotto alla consuetudine, una volta assai diffusa, di utilizzare raganelle o scarabattole e tarabacule, oltre che conchiglie, nel giorno del Venerdì Santo, quando con la morte di Cristo il tempo si ferma e le campane tacciono tristemente.
PERSONAGGI
Belliardo don Giorgio (1919 - 1981)
Coadiutore del Priore di Villanovetta dal 1943 al 1967, Parroco di Pagno fino al 1972 e poi di Costigliole Saluzzo fino alla morte, nell’autunno del 1951 fu il geniale ideatore della Scuola Professionale di Addestramento Lavoratori che sorse nei locali dell’oratorio parrocchiale messi a disposizione dal Priore mons. Perrone. Tali locali sono quelli ancora oggi adiacenti al campo sportivo ricavato nel 1940 da una vigna della superficie di 45 tavole.
La scuola venne due anni dopo trasferita presso la “Casa della Gioventù” della parrocchia maggiore di Verzuolo, per consentirle i necessari sviluppi. Altri locali furono provvisti dal Comune, divenne statale e si trasformò prima in I.N.A.P.L.I e quindi in A.F.P (Azienda Formazione Professionale), avviando al lavoro centinaia di giovani ben addestrati e qualificati.
Colombo Domenico Carlo Giovanni (1866-1933).
Nacque a Villanovetta il 2 novembre da Luigi Colombo, originario di Mandello Lario e qui trasferitosi al seguito del cav. Alberto Keller, nuovo titolare della Filanda. I Colombo erano imparentati con don Achille Ratti, Papa Pio XI nel 1922. Nel 1878 il padre acquistò il setificio di Revello dove Domenico sposò certa Maria Fillia di Martiniana Po. Nel 1904 nacque un nipote cui venne imposto il nome del nonno, Luigi. Legato da grande amicizia con Guido Keller, sarà un esponente autorevole del movimento futurista torinese (in arte “Fillia”).
Della Chiesa Francesco Agostiono, dei Conti di Cervignasco (1593-1662).
Fu Vicario Generale dell’Abbazia di Villar San Costanzo e Priore di Villanovetta dal 1620 al 1642 (all’epoca in cui infierì la peste di manzoniana memoria), quando fu elevato alla sede vescovile di Saluzzo. Svolse una intensa attività di storiografo di Casa Savoia. Nel palazzo civico Saluzzese è ricordato da una lapide dettata da Delfino Muletti.
Dumontel Gilberto.
A metà della centrale via Drago è la residenza di campagna dei Dumontel, una famiglia scomparsa nell’immediato dopoguerra e il cui palazzo ha subito purtroppo irrimediabili modifiche. Erano una delle più prestigiose famiglie di banchieri e filandieri francesi che in Piemonte avevano avviato o rilevato “molini da seta” nei quali, nella seconda metà dell’Ottocento, avvenne la conversione di tanti braccianti e piccoli fittavoli in proletariato operaio.
I Dumontel disponevano di ben cinque filande: a Canelli a Ciriè, a Benevagienna, a Castelletto Stura e a Carrù; quest’ultima era ritenuta uno “splendido stabilimento” che faceva della cittadina monregalese uno dei centri più importanti del cuneese nella produzione serica.
Griselda.
La sua storia risale attorno all’anno Mille, ai tempi forse precedenti quelli della Contessa Adelaide e prima che i discendenti di Bonifacio del Vasto si stabilissero in Saluzzo. Scrisse mons. Carlo Fedele Savio che “più ancora che per le imprese e glorie dei suoi marchesi, Saluzzo è passata nella letteratura di tutte le nazioni per i casi pietosi di Griselda”.
La storia di Griselda fa dunque parte di quella cultura orale che si è tramandata attraverso i secoli. Prima che i libri esistessero, gli unici modi per raccontare e tramandare il sapere erano l’arte e la tradizione orale (come diceva Gregorio di Tour “Pochi capiscono il retore che fa filosofia, molti il contadino che parla):
- Le arti figurative e plastiche, come anche l’architettura, nascondono spesso straordinarie conoscenze che, aggirando il diffusissimo fenomeno dell’analfabetismo, si esprimono disegnando delle immagini..
- La tradizione orale si esprime attraverso proverbi, detti, canzoni, filastrocche che finiscono per diventare un patrimonio comune. Tradizioni più complesse si traducono invece in favole, racconti e leggende.
- La cultura dotta, quella di alto livello, si è espressa nel Medioevo principalmente attraverso tre autori di grande statura artistica: Dante (1265-1321), Petrarca (1304-1374) e Boccaccio (1313-1375).
- Nei secoli le due culture, la popolare e la dotta, si sono incontrate e influenzate a vicenda sino a produrre la cultura moderna e contemporanea. Del primo autore il Comune di Verzuolo custodisce preziosi frammenti di un codice della Divina Commedia, risalenti alla seconda metà del XIV secolo (lo stesso della morte di Dante). Il terzo ha ripreso dai racconti popolari la storia di Griselda e l’ha inserita a chiusura del suo Decamerone. Il secondo è colui che, traducendo la stessa novella in latino, l’ha diffusa e fatta conoscere a tutta l’Europa dotta.
La storia di Griselda, che la tradizione colloca a Villanovetta in Regione Riva Bassa, prima di arrivare all’orecchio del Boccaccio doveva essere da lungo tempo popolare e se mai qualche parte di verità era al suo fondo, già la leggenda l’aveva trascolorata e portata ad un estremo che pare di mito addirittura.
Essa è stata sin qui relegata nel campo del folclore, mentre merita invece di essere considerata anche sotto altri aspetti che ne mettano in risalto gli insegnamenti, suscettibili di utili approfondimenti.
Nel 1992 l’antica Via Maestra o Strada Soprana (ora via Griselda), una strada silenziosa e discreta, è entrata nel regno della fantasia con l’apposizione sui muri delle case di dieci pannelli che ne illustrano altrettanti episodi e che, riprendendo la tradizione antica, affidano alla pittura il compito di illustrare ai cittadini e ai passanti le vicende della più bella e celebre ragazza del paese.
Dove è possibile, non si usa più realizzare il museo del territorio, ma nel territorio. E’ l’ecomuseo che rifiuta la tradizionale collezione rinchiusa in un edificio, per valorizzare invece l’intero patrimonio urbanistico. E’ il territorio che diventa museo, in cui la popolazione stessa si prende cura dei propri beni tradizionali e culturali, esaltandone l’originalità conosciuta e apprezzata in tutta Europa.
Keller nob. cav. Alberto (1800-1874).
Di origine svizzera (Zurigo), è stato una straordinaria figura di imprenditore intelligente, coraggioso e generoso, un industriale d’avanguardia ricco di iniziativa, fantasia e inventiva, ma anche un benefattore illuminato a vantaggio dei suoi dipendenti (mensa aziendale, scuola domenicale, asilo infantile, sostenitore delle Società Operaie di Mutuo Soccorso, ecc.). Un uomo che ha dato un poderoso sviluppo all’azienda, tanto da superare i seicento occupati.
Con testamento dell’ 1.12.1873 dispose la cremazione della sua salma. La società milanese che si occupava di tanto, era stata infatti costituita dallo stesso Keller, che dettò l’epitaffio per la propria tomba:
Penetrato dello scopo filantropico della cremazione dei cadaveri voglio che le mie spoglie mortali siano al mio trapasso incenerite.
Una disposizione insolita per quei tempi, che non rivestiva alcun significato antireligioso, ma precorreva soltanto i tempi.
Keller Guido (1892-1929).
Erculeo pronipote del cav. Alberto, spirito irrequieto e avventuroso, asso dell’aviazione, legionario fiumano, squadrista, fu segretario d’azione di Gabriele D’Annunzio, amico di Marinetti e di Fillia. Il 14.11.1920 lasciò cadere su Montecitorio da un aereo un “arnese di ferro smaltato”, il più usato e arrugginito che gli era riuscito di procurarsi (un pitale), con delle rape legate al manico e un messaggio di disprezzo per il Parlamento e il Governo. Ancora due anni e ci sarà la Marcia su Roma e l’inizio dell’avventura fascista
Vittima del mito chiamato velocità, quando sulle nostre strade il limite era di appena 15 km/h., si schiantò nel 1929 a Magliano Sabino, in provincia di Rieti. In un telegramma D’Annunzio disse che “Guido Keller era una grande anima infelice che meritava una morte violenta ma gloriosa”.
Ludovica di Villanovetta.
Verso la metà del Settecento il “gioco di Genova” o gioco del Lotto (detto anche tassa sugli imbecilli) non avveniva come oggi unicamente sui numeri, ma su novanta nomi fissi di sessanta Cavalieri e trenta Dame. Al n. 4 compariva appunto Ludovica di Villanovetta (possiamo presumere che appartenesse alla famiglia saviglianese dei Conti Cravetta), al n. 26 Paola di Levaldigi, al n. 27 Marta del Castellar e al n. 28 Angela di Paesana.